Il racconto del Montiron

Passata la metà di ottobre, archiviata la calura, dimenticata la frenesia estiva dei barchini e la fregola agonistica delle regate, la laguna nord lancia ai barenanti il suo irresistibile richiamo.
Gli spazi ampi, la sensazione fisica di essere sospesi nello spazio e nel tempo di una laguna finalmente piatta, che si fa specchio, con la luce che inonda lo spazio, sia che il cielo sia terso, sia nel riflesso del cielo plumbeo del primo autunno: è sempre sorprendente il sollievo e la pace che questo mondo magico dona allo spirito dei fortunati che vi si immergono. 

Spinti da una marea favorevole, lasciata Torcello, superata Sant’Ariano, La Cura, Santa Cristina e la Motta dei Cunici, finalmente Maistral e Spiumante si affiancano e proseguono vicini. È già mattina inoltrata e finora sono stati pochi gli incontri, il migliore con uno stormo di fenicotteri rosa a riposo nelle secche. Non sono molto vicini, ma ben visibili dal ponte di prua dei topi, che consente di elevarsi e scoprirli, nascosti in po’ alla vista da barene e canneti. Non c’è brezza e proseguiamo lenti a motore per non farci sorprendere dal cambio di marea e da un temporale annunciato. La laguna nord ha le sue regole e vanno rispettate. Fra barene, bassi fondali e tracce di canale, passiamo alcuni casoni di pescatori in parte diroccati – e ci viene voglia di sognare come sarebbe bello farli rivivere. Bisogna essere quasi giunti alla meta perché il Montiron si faccia scoprire. È sempre sorprendente come questa magica isoletta riesca a tenersi celata anche in questo paesaggio dagli spazi ampi e liberi. 

Con la gioia di sentirci a casa, sbarchiamo il materiale, prepariamo le barche per la notte e rinforziamo gli ormeggi per il temporale che sta arrivando. Siamo già pronti con il fuoco acceso ed un bicchiere di vino in mano quando il vento rinforza e puntuali cominciano le piogge. Il casone è in ordine, grazie al lavoro di pochi appassionati che volontariamente se ne prendono cura. Passata rapidamente la pioggia, il cielo torna terso e ci perdiamo a contemplare uno di quei tramonti di fuoco sulla laguna che chiunque sia stato al Montiron non può scordare.
La cena è lunga, lenta, fatta di fuoco, fumo, profumo di costesine, ciacole, vino…. In barca si dorme bene sotto coperta, protetti dal fasciame in legno e dal tiemo.  Il “topo ciosoto” non ha rivali per il bivacco in laguna.

Il risveglio alla mattina è lento. Colazione con voce roca e poi preparativi per sistemare tutto e ripartire con la brezza della mattina, appena la marea di consentirà di lasciare gli ormeggi. L’acqua è uno specchio. Avanziamo lentissimi, per ore, senza stancarci di quel paesaggio, del rumore della barca che smuove appena le acque, del riflesso delle vele sull’acqua. Guardiamo gli stormi che attraversano il cielo o volano bassi sul pelo dell’acqua. Leghiamo le barche e organizziamo il pranzo “al lai”, mentre le barche avanzano ancora, lentissime, affiancate, manovrando sincrone, con le vele a farfalla o scontrando le vele per evitare le secche, mentre i due topi si inoltrano nei canali, fra le barene. C’è il tempo per una “ciacolata” con una famigliola che resta affascinata dalla nostra danza. “ma gnanca un remo ciape’ in man!” – “No”, rispondiamo, “abbiamo appena calato la pasta!”. Pescano seppie loro… Ne hanno preso quattro chili alcuni giorni prima. Siamo solo noi nello spazio di chilometri. Sono nati in laguna, ci dicono. Anche per loro quelle acque sono casa. Intanto la pasta già bolle in pentola e il sugo è pronto, mentre le barche lentamente ancora avanzano. 

È ormai primo pomeriggio e riaccendiamo i motori per tornare verso Venezia. Le vele però le teniamo ancora alzate, orgogliosi, e sulla via di casa salutiamo amici e turisti che ci ammirano al passaggio. Tornano i lancioni, le onde, i taxi. Siamo rientrati nel mondo ma resta ancora intatta la felicità per il tempo sospeso che la laguna nord ci ha regalato.

Arrivederci Montiron!

Fabio Graziani